Pizzo Camarda

Una salita improbabile ripagata da panorami unici.
Da San Pietro allo Ienca una salita quasi fuori sentiero, estenuante, monotona e faticosa, ma una volta in cresta si sono aperti panorami vastissimi e icredibilmente belli; la cima di una piramide nel cuore del Gran Sasso e una cresta spettacolare e divertente percorsa sul filo delle pareti che scendono sul vallone delle Solagne hanno ripagato di tutto.


Gli errori qualche volta “cascano a fagiolo” e regalano esperienze migliori e diverse di quelle che si erano preventivate. Volevano salire da san Pietro allo Ienca fino alla sella delle Malecoste e da lì raggiungere la vetta del Venaquaro; siamo invece finiti sul Camarda. Rode aver mancato l’imbocco del sentiero ma la cresta che va dal Camarda alla sella delle Malecoste da dove siamo riscesi (così abbiamo capito dove inizia la traccia per salirci!!), e che Marina non aveva mai percorso, ha regalato momenti e viste così entusiasmanti che poco è importato non aver raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissati. E’ certo che salire le Malecoste dalla strada provinciale del Vasto è cosa solo per i nativi o per chi conosce davvero bene il territorio; a parte l’estenuante salita che da dove parti parti sai che sarà una processione di espiazione totale dei peccati, il problema più grosso è imboccare il sentiero giusto, ogni trenta metri inizia una sterrata o una traccia, non esistono segnali o cartelli nonostante la presenza del sentiero ufficiale del parco e alla fine siamo saliti sul vallone a fianco di quello dove scorreva il sentiero e siamo arrivati in cresta qualche chilometro più a Nord della sella e col Camarda in mezzo da dover risalire. La beffa e la parte più “umiliante”, se non fosse divertente, è che Marina leggendo la carta aveva sospettato l’errore, aveva provato a farmi correggere le scelte ma è finita solo per scontrarsi con la testardaggine tipica di un Ariete; ci ha guadagnato il Camarda e quel pezzo di cresta che non conosceva però. Col senno di poi sarebbe stato facile azzeccare l’imbocco, bastava individuare la strada polverosa che viene da san Pietro e spostarsi verso Sud di mezzo chilometro ma la stradina non l’abbiamo vista ed ovviamente non abbiamo imboccato la traccia giusta. Di fatto da li sotto non sono nemmeno riuscito ad individuare il Camarda altrimenti l’errore non ci sarebbe stato ma così è andata ed è venuta fuori una linea di salita improvvisata. Imboccato una sterrata quasi di fronte la stradina polverosa che viene da San Pietro allo Ienca, inizialmente su tracce precise ma forse dovute solo al passaggio delle mandrie al pascolo, siamo saliti tra una macchia rada e bassa e alcuni fossi franosi fino a sfiorare lo stazzo delle Veci dove abbiamo incrociato la strada che sale dal basso; è stato qui che Marina ha insistito maggiormente cercando di farmi riflettere ma per me quella dorsale che avevamo sulla destra e che saliva fino in cima non era quella del Camarda per cui ho continuato nel mio delirio di onnipotenza; di fatto l’ho costretta a salire, dopo un po' senza traccia, sul vallone che costeggia a Nord la dorsale del Camarda, a risalire una poco accentuata dorsale ancora più a Nord per sbucare in cresta vista laghetto dello Ienca, Laga e lago di Campotosto. Senza un momento di minor pendenza, con le viste che non hanno mutato fin tanto non siamo arrivati in cresta (+4.00 ore), tanti i fiori lungo il pendio ma di certo non è stata una salita divertente. Una volta in cresta però la musica cambia, ripreso fiato ci si è persi negli orizzonti che a Nord coprivano tutta la vicina Laga, il bacino delle cento Fonti, la Laghetta e il Gorzano si potevano leggere quasi nei dettagli, l’azzurro del lago di Campotosto era un’acquamarina incastonata nei boschi scuri, le linee dello Ienca fino al san Franco erano un invito a continuare per non citare il bastione senza fine del Corvo, da qui un muro all’apparenza proibitivo e austero. Un panorama del genere insieme al venticello fresco e leggero che finalmente placava l’afa della salita ci ha narcotizzato e lunga è stata la sosta distesi sui prati accanto a dei piccoli giardini rocciosi. La piramide del Camarda verso Sud che rimaneva da salire è sembrata via via meno impegnativa di quanto non ci fosse sembrata all’arrivo in cresta e quando ci siamo rimessi in moto è stata poco più di una piacevole, panoramica e breve passeggiata raggiungerla (+25 min.). Se sotto era cambiata musica rispetto alla estenuante salita una volta raggiunta la piccola croce di vetta si è fatta sinfonia; uno dei panorami più belli degli Appennini si è spalancato tutto attorno, le cime più alte del cuore del Gran Sasso, le valli che si inseguivano, roccia e ghiaioni, luce e verticalità, il Velino lontano e non ricordo cosa altro, si rimane storditi da tutto quel concentrato di montagne. Il Camarda è sempre scomodo da raggiungere, forse per questo è una delle più suggestive vette da toccare. La discesa è continuata verso Sud sul filo di cresta, subdolo e verticale il sentiero che scende prima verso Ovest e poi verso Sud ad abbassarsi sulla linea della dorsale per raggiungere le Malecoste. Una volta scesi dal Camarda la cresta che si delinea verso Sud è stupenda, poche variazioni di dislivello, diverse prominenze secondarie, un sali e scendi continuo sul filo di cresta al limite della parete che contraddistingue la testata del vallone delle Solagne, molti divertenti passaggi su roccia in cui era necessario usare le mani per superarli, viste mozzafiato sul Corvo, sull’Intermesoli e fino ai due Corni, suggestiva ed esaltante la linea in bilico tra prati e precipizi che raggiunge la sella delle Malecoste, stupenda e intrigante la rocciosa e verticale dorsale che dalla piramide di cima delle Malecoste raggiunge il Venaquaro, c’erano tutti gli ingredienti per entusiasmarsi alla grande… quante volte sono stato quassù non lo ricordo ma ogni volta ricordo il medesimo stupore, rispetto ed entusiasmo davanti a questi panorami. Pezzi di Dolomiti nel nostro Appennino. E Marina, che su questo tratto di cresta non era mai stata, ha vissuto la sorpresa e l’entusiasmo, in un paio di chilometri ha dimenticato la noia e la fatica della salita ed ha dimenticato l’errore commesso in fase di partenza. Arriviamo alla sella delle Malecoste (+1,30 ore) che sono quasi le due del pomeriggio, un po' tardi per continuare il progetto di raggiungere il Venaquaro, un po' troppo stanchi per intraprendere il traverso sul bel ghiaione sotto la cima delle Malecoste e la salita fino al Venaquaro, ci godiamo per alcuni minuti la vista sul vallone delle Solagne e il silenzio, l’isolamento assoluto che si provava già poco sotto la sella era affascinante come ogni dettaglio che avevamo intorno. Guardavo il Corvo, sarebbe bello ritornarci, ma lassù c’era una folla che poco ha a che fare con la montagna, eravamo felici di essere soli poco sotto la “banale” sella delle Malecoste. Iniziamo la lunga discesa che ci riporta a valle, evidente la traccia tra i prati che si stacca dalla sella e prende ad attraversare la testata della valle fino a superare accanto ad uno sperone la piccola dorsale dall’altra parte, continui traversi, ora verso Ovest ora verso Sud ci fanno abbassare lentamente, in alcuni momenti la traccia diventa appena percettibile persa nelle alte praterie, ogni tanto un segno rosso sulle poche rocce sporgenti ma tocca affidarsi prevalentemente al calpestio a terra; si attraversano diversi valloni, si rientra in quello che scende dalla sella delle Malecoste che manco si percepisce più lassù in cima e si riesce per continuare a traversare verso Ovest. Un turbinio di variazioni di direzione e alla fine, ormai in basso e poco oltre metà discesa, perdiamo la traccia, probabilmente confusa o persa dentro i fossi ghiaiosi slavati dalla pioggia; manteniamo la direzione che sappiamo portarci “a casa” ma dobbiamo districarci una volta più in basso tra le fratte di ginepri e la boscaglia fitta; passiamo, non senza qualche difficoltà e raggiungiamo la strada sterrata che traversa parallela alla provinciale duecento metri più in alto; la seguiamo verso Nord fino ad incrociare la deviazione (qui su una pietra una freccia verde indica la via di salita) che scende direttamente alla provinciale. Come sospettavo l’imbocco sulla provinciale (+2,40 ore), una sterrata carrabile a tutti gli effetti, non ha indicazioni o segnali, nemmeno bolli o bandierine, se non lo conosci è uno dei tanti che trovi a bordo strada; oltre tutto provenendo da Assergi risulta anche molto nascosto infrattandosi molto presto ed iniziando in direzione contraria a quella di provenienza. Mezzo chilometro per arrivare alla macchina ed è inutile guardare il profilo delle Malecoste, dalla strada gli ampi valloni non sembrano avere tracce che li attraversano o li salgono, non c’è ombra di via di salita. In ogni caso è andata bene così, il sentiero 117 che avremmo dovuto imboccare non sarebbe stato più semplice della nostra linea di salita, verticale lo stesso e forse di più e sicuramente più lungo per via dei tanti traversi, non ci avrebbe risparmiato sudore e ci avrebbe tolto il Camarda e la bellissima cresta che abbiamo percorso. Rimane come via di salita più breve per il Venaquaro ma non credo avremo intenzioni di rifarla nel breve periodo, affrontare da questo versante le Malecoste è una malsana idea che può insinuarsi solo dopo che si è dimenticata l’ultima esperienza. E per ora il Venaquaro può attendere.